Descrizione storica della prima visita
A 400 m. da Marcóssina (oggi stazione delle autocorriere per Villa del Monte Nevoso (Bisterza) e Fiume e in breve certamente anche del nuovo tronco ferroviario che da Erpelle si staccherà nella stessa direzione) verso Slivia, a circa 9 chilometri dalla stazione di Erpelle. Terreno carsico con tutte le sue caratteristiche: doline, baratri, pozzi, torrenti che s'inabissano per cantar la loro canzone selvaggia sotterra. Ogni valle ha il suo corso d'acqua. La regione a nord della strada di Fiume, al primo esame d'una carta topografica, si direbbe irrigata dall'uomo. A Loca Grande l'acqua s'impaluda. Tutta quell'acqua dove va a finire? Dalle ricerche del professore Timeus, direttore del Laboratorio Chimico dell'Ufficio d'Igiene di Trieste, risulta accertata la comunicazione del torrente che viene inghiottito a Odolina con le risorgenti del Risano a S. Maria. Di supposizioni ce ne sono per qualche altro, ma lasciamole lì, che ci condurrebbero lontano. Vedremo fra poco il torrente finora misterioso nella Grotta del Fumo e lo ritroveremo anche d'estate, quando i corsi superiori sono asciutti. È fuor di dubbio che un corso superficiale serpeggiava un tempo in quella regione e che vi si rifletteva una vegetazione arborea, che, con la sparizione del mantello d'arenarie, è scomparsa. Veniva alimentata da quello stesso bacino dal quale provengono i succitati brevi corsi d'acqua, che ora spariscono nella gran spugna calcarea, solcandola in ogni direzione e creando pozzi, gallerie, caverne e tutto l'arsenale carsico, che poi lo stillicidio addobberà con una prodigalità che da il capogiro.
La scoperta.
In questa regione il cav. A. Perco, l'attuale solerte direttore delle RR. Grotte Demaniali di Postumia, scopriva nel 1907, e in seguito rilevava, una grotta dello sviluppo di 1230 m., d'una profondità massima di 124 m. e con un torrente che la traversa per 1/2 km. Erano altri tempi. Degli abitanti del luogo nessuno volle accompagnarglisi nell’impresa. Quegli esseri misteriosi che avevano già popolato i monti, erano ormai discesi di parecchio, ma non morti: morti sono oggi, e ben morti almeno nella mente di quell'agricoltore, che furbescamente mi sorrideva, quando gliene parlavo nell'ultimo tratto di strada verso Slivia. Niente mostri per lui, e diavoli talvolta sì, ma in forma di uomini, cattivi come diavoli. Lo scopritore non v'era naturalmente disceso allora, senza attrezzi; ma in seguito veniva scavata nella roccia l'attuale stradicciola a chiocciola, che per circa 40 metri scende nel pozzo, per distendersi poi per il suolo della grotta e mandare diramazioni verso i suoi punti più interessanti. I lavori di ricerca e di sistemazione furono sospesi allo scoppiar della guerra, durante la quale non mancarono le inevitabili devastazioni vandaliche di ciò che fu più facile non rispettare. Oggi la grotta è in possesso della Società Alpina delle Giulie, sezione di Trieste del C. A. I., la quale la cede in affitto al Comune di Matteria.
Il fumo che non è fumo.
Un sentiero che traversa il terreno carsico vi conduce in pochi minuti da Marcóssina (cartello indicatore). Un'antenna per il tricolore e, nella stagione fredda o all'abbassarsi della pressione atmosferica, una nube di vapori - alla quale essa deve il nome - ne indicano la posizione. Ivi s'inabissa il pozzo reso accessibile. Una dolina nell'immediata vicinanza si sprofonda al posto dell'antico inghiottitoio del torrente superficiale, del quale vedremo poi le tracce nell'interno, assieme allo sbocco dell'altra voragine, per la quale era disceso lo scopritore.
La caratteristica ventata vivificante d'aria ozonizzata, che porta con se il grato odore della terra umida e della vegetazione crittogamica, ci da il saluto mentre discendiamo; un Fascio Littorio di cemento, inaugurato l'anno scorso, mentre seguiva l'apertura ufficiale della grotta, ci ricorda la Patria nuovamente redenta. La via è comoda. Le rampe si alternano agli scalini di cemento. L' impressione di scendere nel vuoto si fa sempre più viva. In quel giorno - 4 marzo u. s. - era ancora intatta la neve recente e il pozzo, con la vegetazione invernale abbarbicata sulla roccia e il parapetto rosso, ne riusciva tricolorato. Qua e là pendevano delle stalattiti di ghiaccio.
Una sala da ballo sul fondo d'una voragine.
Con tutta comodità (se abbiamo con noi la guida venuta dalla vicina frazione di Slivia col fanale ad acetilene e l'indispensabile chiave) scendiamo nell'atrio del piccolo mondo sotterraneo. Dei pilastri enormi si slanciano verso il soffitto illuminati dalle tonalità più tenui della luce del giorno. Il mondo esterno si allontana. Non però nei dì di festa della grotta, perché la sala è dedicata a Tersicore. A destra una frana è in corrispondenza con la dolina osservata presso l'ingresso. Vi furono rinvenuti dei resti fossili di grandi mammiferi. Ormai ci troviamo nel Grande Duomo e subito ci si presentano due ciclopiche colonne, tutte scanalature capricciose e incrostazioni colorate, intorno alle quale lo stillicidio, dopo averle create, ha lavorato per millenni. Vi ci indugiamo per poco; ma altre formazioni cristalline si susseguono senza interruzione. Colate di cera con sbavamenti enormi, pendule lingue con effetti di trasparenza e colorazioni sempre nuove : passando accanto a una tartaruga enorme le facciamo istintivamente una carezza; poi siamo attratti dal bianco e dal rosso del tetto, a macchie, strie che si accompagnano, s'intersecano, s'accumulano, completando le scenario in modo magnifico. Si vedono le concrezioni in formazione. Per poco che si attenda, si può seguire la goccia che si stacca dal soffitto e che porta il suo lento contributo alla colonna che nasce. Nell'incavo della sommità delle stalammiti si vede il color virgineo del calcare nuovo. Ecco un bambino che protende le braccia verso di noi con gioia. Camminiamo sul vecchio letto del fiume. Un sentiero comodissimo ne raggiunge il nuovo corse, ma le lasciano per il ritorno.
La sala del cuoio e del damasco.
Dopo un centinaio di metri dalla voragine d'accesso ci si presenta la prima galleria artificiale, che è anche la più lunga. La temperatura, non più influenzata dalla corrente d'aria in moto fra i due pozzi, sale. Siamo ai normali 120 C. interni e qualche mantello è lasciato indietro. La galleria mette in comunicazione il Duomo con le altre sale, che racchiudono nuove meraviglie. Una cascata enorme di pietra precipita dal cielo della grotta, circondata da formazioni minori che neppur si guardano. Siamo nel regno delle Fate. Dei pezzi enormi di cuoio, disposti su parecchi piani, pendono dall'alto. E continua il bianco e il rosso del soffitto. Poi son cortine, scialli damascati, fasci di stalattiti, e subito dopo due colossali pilastri che formano un portale enorme con nodi, protuberanze, rinforzi, incrcostazioni; un santuario per l'adorazione di dei nuovi o tramontati.
Nell'Orrido.
Dopo una galleria artificiale minuscola il terreno si fa pianeggiante. Si cammina sull'argilla; il colore dei sali ferrosi misti al calcare incupisce le concrezioni cristalline, e quell'insistenza di tinte brune, terrose fa un'impressione strana sull'animo. Sono altri 200 metri, in un silenzio che incombe. Il rumore dell'acqua è smorzato dalla lontananza. Al torrente non si discende di lassù che con l'aiuto di corde, ma si vuoi indagare la profondità dei crepacci colle pietre e se ne sente il rotolare e il tonfo nell'acqua.
Sala delle meraviglie.
La visione che ci colpisce è di una bellezza che non ha confronti che in grotte ben maggiori. Si procede fra blocchi giganteschi, i quali costituiscono il basamento di armoniosi gruppi di stalammiti d'ogni grandezza e forma; e dal tetto pendono aghi a migliaia e pendagli aguzzi e festoni che seguono disegni fantastici. Una stalammite sta per incontrare - questione di secoli - la colonna gemella che progressivamente le si avvicina dall'alto; un tenue filo unisce già i due esseri che s'attraggono: il tempo poi, che nella natura non conta e per cui i millenni non son che attimi, verrà a completare il pilastro, nel quale le due creature saranno unite e immedesimate per l'eternità. Anche il suolo è una meraviglia. Sembra del cemento versato lì per sistemare la grotta, e ne spuntano cippi e colonne d'ogni grandezza, statue e statuine e frutti della terra con le foglie aperte all'ingiro; stalattiti che, percosse, danno un suon di campana; vasche dai bordi sinuosi, che ricordano le fontane di San Canziano; e poi di nuovo un'infinità di aghi minutissimi pendenti dalla volta e una vegetazione rigogliosa di muschi e licheni, che si vuoi toccare, per sentirne la rigidità.
Lo scrigno fatato.
Abbiamo l'impressione di muoverci nello scrigno di un nababbo. Tutto brilla. Cristalli di calcite che son diamanti grossissimi, confondono col numero sterminato, col loro splendore che varia, si spegne, si riaccende come procediamo. L'effetto non è descrivibile. Involontariamente titubanti, occorre camminarvi sopra. Si pensa a raccoglierne. Delle strisce bianche seguono il livello antico del corso sotterraneo, delle spaccature nella roccia sono il ricordo di qualche antico terremoto. I bambini hanno fatto un recinto che sembra d'argilla plastica ed è di roccia. Quali bambini dalle dita d'acciaio? Me lo indica il barone Marenzi, che mi fa gentilmente da guida e poi mi tenta e mi fa salire con mani e piedi per i massi d'una frana diabolica, affinchè vi possa ammirare i fulgori e le formazioni pudicamente celate in complicate ramificazioni di cavernette, dove per certo quegli stessi bimbi hanno già fatto a rimpiatterello. E quel sacco capovolto? Ricorda l'altro enorme, della leggenda, da cui il Padre Eterno lasciava inavvertitamente cadere quei sassi, ai quali il Carso deve la sua origine? Sono cinquecento metri di sorprese continue. Non si sente stanchezza. Si vuol arrampicare per godere prospettive nuove, nuovi effetti di luce, nuove combinazioni di luccichii. Si attraversa una terza galleria. Chi ci ha messo là sopra le «tavole della Legge»? Ma siamo alla fine. L'ultimo lavoro di escavo nell'argilla e nella sabbia fu abbandonato al prodursi della guerra, ma forse più in là ci sono forse altre caverne, non essendo probabile che proprio da quel punto il fiume abbia abbandonato l'antico canale. Si ritorna.
Al torrente.
Dopo la prima galleria si stacca la serpentina che discende all'Acheronte. È da augurarsi che essa, in date occasioni, sia illuminata sobriamente per conservarle il suo aspetto selvaggio. Le stalattiti che pendono dal soffitto sono differenti dalle altre. L'aria mossa le piegò, le sformò, le contorse. Si guardano con curiosità. Più sotto l'ambiente si presterebbe a un'illuminazione colorata. Lancio l'idea per quando ci sarà l'energia elettrica. Io vi discesi alla luce intermittente di qualche diecina di fiammiferi, mentre il resto della comitiva era ancora indietro per riprendere gli indumenti, all'imboccatura della galleria, e la serpentina la feci a tratti, tendendo l'orecchio al rombo dell'acqua che s'avvicinava e affondando inutilmente lo sguardo nella tenebre. Il torrente lo raggiunsi presso alla cascata, sempre per la buona strada, che per proceder sicuri basta non abbandonare e, seduto su di un masso, nell'oscurità completa, con negli orecchi lo scroscio dell'acqua cadente, attesi gli amici. La luce del riflettore ad acetilene mi annunciò, l'arrivo dei compagni e appena allora vidi la cascata spumeggiante, dopo la quale il torrente completa, lento lento, i suoi 500 metri di corsa nella caverna. Stalattiti in forma di tende, di aghi, di pesanti festoni pendono dalla volta irregolare, tutta sinuosità; colonne sporgono dal torrente. Il canale non è largo. In quel giorno potei spingermi innanzi fino al sifone d'uscita, procedendo carponi e guazzando coi piedi. D'uscita, naturalmente, per I'acqua, non per il bipede curioso. E’ il punto più romantico. Arriva da lontano, smorzata, il fragore della piccola cascata. La caverna si fa sempre più stretta e infine il tetto si abbassa repentinamente e la chiude a saracinesca. Un gorgoglio e I'acqua sparisce nell'ignoto. Donde viene, quando d'estate i letti dei torrenti, su nelle valli, sono asciutti? Dove va? La pressione vale a creare e a rifornire un deposito perenne di spuma densa e resistente che sembra panna montata.
Al teschio
Risalendo, una diramazione del sentiero passa dinanzi a un masso, intorno al quale lo scalpello della natura s'è sbizzarrito in modo curioso, foggiando un teschio. E c'è chi vuole che non ci sia soltanto un teschio. Togliete i freni alla fantasia e, a seconda dei casi, arrivate alla «creatura che vuol divincolarsi dalla rupe» con la quale è concresciuta, al «Bacio della Luna» dello Zamboni, o ai «mostri nelle nuvole», che il vento trasforma a ogni soffio.
La Grotta Bianca
Il sentiero sale. La luce del giorno rida il solito piacere; ma resta da visitarsi la Grotta Bianca tra i due pozzi d'accesso. Ivi di nuovo stalattiti e stalammiti candidissime, di nuovo formazioni enormi con scanalature, festoni, nappine a fasci. Su di un masso stalammitico enorme una testa umana, un bambino con le braccia incrociate, una figura che fa il più bel saluto, nell'impeto della corsa. Poi di nuovo la luce del giorno, che scende dall'altra voragine. Vi si arriva, in discesa, per l'inevitabile frana; si spinge lo sguardo in alto, fra le anfrattuosita, poi si ritorna.
Le ultime sorprese
Ma nel ritorno ci sono ancora da visitare le due grotticelle di cui una giustifica da sola una visita. Le più fantastiche e bizzarre combinazioni dell'architettura moresca con la gotica hanno avuto colà dalla goccia d'acqua la collaborazione più assidua. Le stalammiti e le stalattiti si sono riunite in forma di pareti, con pilastri scanalati, nicchie che si sprofondano in cavernette, chiuse ai lati da lastre vagamente trasparenti e mensole frangiate e nappi dalle complicazioni più strane pendenti dal soffitto. Si lascia questo luogo a malincuore, perché si vorrebbe indugiarvisi in un lungo e raccolto riposo. Nell'osteria Custrin attende l'album dei visitatori e il rancio. Nel pomeriggio si fa una breve visita agli inghiottitoi e alla campagna limitrofa, dove non mancano gli alberi da frutto.
A.TOSTI
1) zaklenjena |
2) TTN-5 |
3) CHIUSA CON CANCELLO |
L.V. BERTARELLI - E.BOEGAN, 1926, 2000 Grotte |
Polli Elio, 2005, Atti e memorie della Commissione grotte E.Boegan Volume 40 |
Sguazzin Franco, 2005, Atti e memorie della Commissione grotte E.Boegan Volume 40 |
1908, Grazer Tablatt n. 195 |
Laibach, 1909, Laibacher Zeit n. 240, 241,242,243,244 |
Carlo Colussi,1929, Liburnia Vol. XXII |
Wien Bd LII, 1909, Mitteilungb K.K. Geogr. Gesellschaft |
1905, Triestiner Tagblatt n. 7638, 7639 |